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Cose da fare post quarantena #4 resti DC9 Conca d’Oru

Il 14 settembre 1979, l’aereo della compagnia ATI, decollato da Alghero con destinazione Elmas, alle ore 00:47 - ultimo contatto radar - si schiantava sulla cima del monte Conca d’Oru per un errore umano. Complice il maltempo che imperversava sulla nostra zona e, forse, un altimetro guasto, i due politi “disorientati” decidono di abbassare il carrello e scendere di quota, dapprima con l’approvazione della Torre di Controllo, poco dopo revocata. L’intenzione dei piloti, come estratto poi dalla scatola nera, era quella di evitare le fitte nubi in prossimità di Cagliari-Elmas, effettuando una virata a 360 gradi sopra Capoterra ma l’aereo, troppo basso, urta con la coda la cima rocciosa di Conca d’Oru: una palla di fuoco illumina il cielo accompagnato da un rombo cupo. I soccorritori giungono dopo 7 ore sia a causa della mancanza di un sentiero e sia per l’incessante pioggia di quella notte. Solo una compagnia militare di Teulada, paracadutati dagli elicotteri, raggiunge quasi subito il luogo del disastro con il compito di sparare a vista a chiunque non fosse un soccorritore. Una notte trascorsa tra i resti umani, evitando che animali selvatici divorassero i resti dei cadaveri o qualche sciacallo, attratto da oggetti di valore, vi arrivasse di nascosto. Dei 31 passeggeri nessuno sopravvisse all’impatto.

Oggi la cima della montagna, a confine tra i comuni di Sarroch e Capoterra, è diventato un sacrario: a rendere omaggio alle vittime, ogni anno, una delegazione capeggiata dal parroco di Capoterra, si reca sulla cima per onorare le vittime. Una targa con i nomi dei passeggeri e una croce ricordano il tragico evento di quel venerdì notte.

Per raggiungere la cima della montagna, meta annuale di centinaia di persone tra curiosi o appassionati di trekking, occorre inerpicarsi per un sentiero abbastanza facile per tutti, tracciato dai soccorritori nel 1979. Questo sentiero parte da Genna de sa Craba (o “Arcu de s’Enna ‘e sa Craba”), dove ci si può arrivare tranquillamente in auto, e sale per poco più di un chilometro attraverso la fitta vegetazione. Il sentiero è segnalato attraverso nastri colorati legati agli alberi che vengono regolarmente aggiunti e/o sostituiti dagli escursionisti.

L’itinerario più semplice per raggiungere il sito del disastro aereo ha come inizio la strada vicinale di Baccalamanza-Su Spantu (centrale Enel): la strada è una pista forestale carrabile abbastanza tenuta bene che conduce ad un ampio spazio in cui, nel periodo ad alto rischio incendi, la Forestale installa un grosso vascone come riserva idrica. Da qui si diramano diverse strade, tutte piste forestali e carrarecce per lo più chiuse al transito veicolare che conducono fino a Monti Nieddu.

Appassionati di mountainbike da tutto l’hinterland si danno appuntamento ogni fine settimana su queste strade, per tanto se amate la bici, potete raggiungere la cima anche pedalando fino al valico, percorrendo circa 6 km di salita (bella tosta). Se preferite l’auto, giunti a Genna sa Craba, (sono presenti delle indicazioni CAI) potete lasciarla nello spazio davanti la sbarra dell’Ente Foreste, se siete in bici potete abbandonarla lungo il sentiero che porta in cima. Difficilmente troverete ladri a quelle altitudini!
Il sentiero, semi nascosta dalla vegetazione, si dirama verso la cima della montagna senza particolare difficoltà sia tecnica e sia fisica. Per un lungo tratto il sentiero è completamente immerso nel bosco fitto ma, man mano che si sale, il bosco si alterna alla macchia mediterranea permettendo una ottima vista delle valli de Is Scillaras e San Gerolamo. Raggiunta la cima, ad accogliervi c’è una piccola croce in legno, piantata lì da qualcuno come ad avvisarvi che state entrando in un luogo sacro.

I resti del velivolo sono sparsi in un’area vasta centinaia di metri quadri, alcuni sono minuscoli frammenti, altri enormi pezzi della fusoliera, dei carrelli e dei motori. Non tutto l’aereo si trova ancora lì. Gran parte dei rottami furono portati via dai soccorritori, come la cabina di pilotaggio e tutti gli accessori personali dei passeggeri.  

La targa si trova proprio sulla cima in granito dove urtò la coda del velivolo; la croce in ferro che abbraccia l’intera area della sciagura si trova poco sotto.
Grossi pezzi della fusoliera in alluminio sono stati imbrattati con scritte di cui non si capisce il senso se non quello di vandalizzare a prescindere. Dei due motori sono ancora visibili parte dei compressori con le loro caratteristiche “ventole”. Tubi, pezzi dei posti a sedere, pneumatici dei carrelli e altro materiale sono sparsi su tutta l’area, difficile anche da esplorare per via del declivio e della vegetazione cresciuta attorno ai rottami in questi ultimi quarant’anni.

Poco lontano dall’enorme croce, nel 1991 ne fu eretta una più piccola, dedicata ad un certo Patrizio Arduini di cui non siamo riusciti a trovare nulla a suo nome, non appare tra le vittime o che ne indichi il motivo della sua presenza, se qualcuno sa ci informi.

Il silenzio, in cima, è tale da mettere suggestione. In una giornata soleggiata, in assenza di vento, fatta eccezione per lo stridere di qualche rapace, il silenzio è quasi assoluto.

Frugando sul web, in cerca di materiale mi sono imbattuto su un articolo bizzarro in cui veniva narrata la leggenda secondo la quale a sopravvivere all’incidente ci fu un solo superstite: un gatto. Tra gli oggetti rinvenuti durante i soccorsi pare ci fosse un trasportino per gatti. Ma del gatto non fu mai rinvenuto il corpo. Alcuni escursionisti ricordano che dopo l’incidente fu avvistato tra le rocce un gatto rosso girovagare tranquillo.

Oltre questa leggenda, è buona prassi portare fin sopra la cima qualsiasi pezzetto di aereo ritrovato lungo il sentiero e depositarlo accanto la croce.  

Prestate attenzione alla discesa. È assai facile sbagliare strada e avventurarsi fuori dal percorso. Pareti a precipizio e la fitta vegetazione possono essere un pericolo per i meno esperti.

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