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Cose da fare post quarantena #3 Miniera di San Leone

Per il terzo appuntamento della serie “cose da fare post quarantena” ho deciso di invitarvi a fare una escursione a Cirifoddi, nell’immensa area mineraria dismessa di San Leone.
Si tratta di un luogo molto affascinante, soprattutto per gli amanti della archeologia industriale.
È raggiungibile da Capoterra in auto, a piedi o in mtb. Dipende tutto dalla vostra disponibilità di tempo e, soprattutto, dalla voglia di camminare.
L’ingresso ufficiale al sito è dalla SP1. Ci sono, poi, due ingressi “ufficiosi” da Genn’e Soi a piedi o in mtb , oppure solo a piedi da BaccuTinghinu-Pranedda. Questi ultimi due erano i passaggi utilizzati dai minatori di Capoterra. Da Genn’e Soi passavano i “ricchi” possessori di biciclette in quanto la mulattiera permetteva di pedalare per lunghi tratti, da Baccu Tinghinu i “poveri” che andavano a piedi.
In tutti e due i casi, onore ai nostri avi perché entrambe le strade sono veramente ardue, soprattutto per chi poi doveva farsi un turno in miniera!


Se siete amanti del vintage, vi consiglio di seguire la vecchia strada ferrata (a piedi), partendo dalla zona antistante la Chiesa di Santa Lucia, costeggiando il rio Gutturu Mannu con i suoi caratteristici ponti in pietra (pochi ancora in piedi purtroppo). La ferrovia, la prima in Sardegna, fu smantellata negli anni ’50, era lunga circa 15km e collegava la Miniera con la Maddalena Spiaggia dove era presente un molo per caricare il materiale sulle navi all’àncora.
Qualsiasi sia il vostro mezzo e il vostro itinerario, una volta arrivati al Sito ricordatevi che è una proprietà privata (ci entrate a vostro rischio e pericolo e declino ogni responsabilità), l’area fu venduta ad una industria alimentare a cui ancora oggi appartiene, dove abita un allevatore di capre e la zona non è assolutamente in sicurezza, per tanto il rispetto delle più basilari regole civili sono sacrosante.
All’ingresso del sito, sulla sinistra, ad accogliervi c’è la discarica inerti della miniera: una collina artificiale di ghiaia scura, frutto di anni di accumulo degli inerti, ancora da bonificare e che stona con il resto del paesaggio. Subito dopo trovate la vecchia portineria controllo accessi e la centrale elettrica. Da qui la strada si divide in tre tronconi: una segue il corso del fiume sulla destra (completamente devastata dall’alluvione passata e poco visibile) l’altra strada, quella principale e carrabile, sale fino alle strutture in cemento armato per la lavorazione del minerale, ai caseggiati e alle gallerie. Sulla sinistra, invece, convogliano le mulattiere di Genn’e Soi e Baccutinghinu.
Lungo il percorso troverete nell’ordine: la scuola, la prima stazione ferroviaria della Sardegna (la targa è stata portata via), il vascone della riserva idrica (coperto di detriti del fiume) con ancora un vecchio motore a scoppio, la struttura in cemento armato - di epoca recente, a forma piramidale - simbolo della miniera ( in cui veniva lavorato il materiale estratto con i magneti ), la chiesa, il vecchio ostello e poi le varie strutture più o meno grandi per tramogge e altri macchinari. A dominare il paesaggio dall’alto la casa padronale (o direzionale) ancora intatta.
La scuola è di recente costruzione. All’interno si sono salvati dai vandali alcuni banchi e sedie, lavagne e parte della cucina. Vi sconsigliamo di addentrarvi in alcuni ambienti in quanto il soffitto, danneggiato dalle infiltrazioni d’acqua, sta cedendo in vari punti. Qualche idiota ha ben pensato di scardinare i lavandini e buttarli dalla finestra e anche di lanciare i piatti in ceramica della cucina dalle finestre.
La struttura in cemento armato piramidale, in cui veniva lavorato il minerale, è un groviglio di ambienti immensi, scale e aperture sul vuoto. Se soffrite di vertigini vi sconsiglio di accedervi. In passato, dietro questa struttura, prima che le varie alluvioni devastassero l’ambiente, era presente un immenso ascensore inclinato di alcuni gradi che si inerpicava sulla parete della montagna. Se cercate sul web le immagini storiche vi renderete conto di quanto fosse imponente. Era composto da due piste di binari dove i vagoni salivano vuoti e scendevano pieni di materiale proveniente dalle gallerie in alto, per scaricare sui vagoni del trenino. Un vero peccato che sia andato perduto. Ad ogni buon conto, seguendo la strada principale, si trovano gli accessi alle gallerie principali il cui ingresso è sconsigliato se non siete escursionisti esperti con tutte le attrezzature di sicurezza necessarie. È un dedalo di cunicoli bui in cui perdersi è molto facile e ancora di più cadere nei c.d. “forni”: aperture laterali profonde decine di metri che collegano le varie gallerie su più livelli, utilizzate dai minatori per versare il materiale ferroso giù nelle gallerie sottostanti in cui erano presenti i vagoni. All’interno della più grande, addirittura carrabile, chiamata Galleria Richard, già dall’imbocco, e senza torce, è possibile scorgere vecchie botti per il vino. Più in profondità, ci sono cataste di bottiglie di vino, alcune ancora intatte. Pare che per via della temperatura costante tutto l’anno, gli attuali proprietari usassero queste gallerie per far invecchiare il vino. Il silenzio è rotto solo dallo sciabordare dell’acqua che invade gran parte delle gallerie.
Sopra la galleria Richard è presente un’altra galleria che a prima vista ricorda un’immensa grotta dove il soffitto è sorretto da imponenti pilastri ricavati dalla pietra. È facilmente visitabile per un bel pezzo senza torce, tanto è ampio lo spazio. All’esterno è presente ancora un vecchio vagone intatto. Anche qui qualche idiota ha cercato di farlo rotolare giù dalla scarpata, per fortuna senza successo. Tutta la zona è un intrico di cunicoli e pozzi, prestate massima attenzione.
Sul web si legge che in epoca recente il gruppo Eni avviò una ricerca di materiale radiativo. Di questo periodo resta ancora una galleria che sfocia sulla valle del rio San Girolamo. Se cercate su youtube, un docente universitario, con il contatore Geiger, ha dimostrato la presenza ancora di attività radiativa residua.
Evitando di entrare nelle gallerie, proseguendo lungo la via principale, dopo qualche chilometro di salita, si raggiunge una costruzione in mattoni chiamata “vedetta” da cui si gode a 360 gradi di un paesaggio spettacolare se la giornata lo permette: l’intero golfo di Cagliari, il caleidoscopico campidano, la valle del Rio San Girolamo , Sarroch e gran parte del parco di Gutturu Mannu con le cime di Monte Arcosu, Punta Maxia e Mont’e Lattias che dominano il paesaggio a ovest.
Dopo aver meditato contemplando lo sconfinato paesaggio, rientrando a ritroso vi consiglio di inoltrarvi nella viabilità interna. Raggiunto un vasto spazio, circa a metà strada, e abbandonando la strada principale, un sentiero danneggiato dalle alluvioni, ma ancora percorribile, vi conduce ad un viale di cipressi e a un complesso di piccole case diroccate. Erano gli alloggi (credo) e le dispense dei minatori. Sulla cima della collina è ancora visibile una imponente miniera a cielo aperto, fatta saltare sicuramente con la dinamite. Il sentiero continua a salire zigzagando nel bosco tra decine di cunicoli esplorativi, sorgenti e vecchie casette sparse tra gli alberi, utilizzate per lo più come rifugio dalle capre, per finire a poche centinaia di metri dalla portineria, davanti alla scuola. Se siete sopravvissuti ai pericoli e alle ore di cammino, significa che siete stati prudenti, perciò ricordatevi di chiudere il cancello quando uscite.

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